Bali Capitolo 5: Amed (viaggiare non è sempre rilassante)

Written by passengerzero

17 Luglio 2017

È passata ormai una settimana da quando siamo arrivati e, per quanto bella ed ispirante sia stata Ubud, adesso è la nostra voglia di mare a farla da padrone. Abbiamo passato intere serate a navigare su internet alla ricerca delle migliori località marittime di Bali. Alla fine, la nostra scelta cade fuori da Bali stessa!
Per sfuggire ai luoghi troppo turistici e ai rumori dei motorini, abbiamo deciso che salperemo verso le Gilli Islands, un arcipelago di piccole isolette a poche miglia a largo della costa est.
Da quanto apprendiamo dai vari siti e blog, abbiamo due scelte per lasciare la costa balinese. A un paio d’ore da Ubud c’è Padangbai, una cittadina da cui partono le imbarcazioni dirette alle Gilli. Decisamente più distante da noi, a circa tre ore e mezzo di auto in direzione nord, c’è un’altra località marittima da cui si può salpare. Amed è certamente più distante, ma la rotta per le Gilli sembra più breve se si parte da lì. A farci propendere per la seconda opzione è il fatto che Amed sia un piccolo villaggio non toccato dal turismo di massa. Inoltre, a pochi metri al largo di una delle spiagge, sotto la superficie del mare, si trova un relitto visitabile anche senza l’ausilio delle bombole da sub.
Ora rimane da chiarire come arrivare lassù.
Sull’isola di Bali di certo non mancano i taxi. È facilissimo trovarne di svariati nelle strade oppure prenotarne uno tramite la reception degli hotel. Tuttavia, i tassisti ufficiali non sono l’unica alternativa. Praticamente il 70% degli uomini che si incontrano possono trasformarsi in guidatori che, in cambio di qualche soldo, sono felici di mettere a disposizione il proprio tempo e la propria auto.
Faccio un tentativo con il ragazzo che ha riaccompagnato me e Marika in albergo il giorno che ci siamo persi.

Il mio amico sembra contento di sentirmi e si dice subito disponibile ad accompagnarci. Rimango senza risposte quando mi chiede quanto ho intenzione di offrire. Non ho la minima idea di quanto possa costare un viaggio del genere, così prendo tempo. Prima di riagganciare, il ragazzo mi consiglia di fare proprio quello che stavo pensando: – Chiedi in giro a qualche tassista quanto vorrebbe per accompagnarti. Poi richiamami e vedo se riesco a farlo per meno soldi. – Mi dice spassionatamente.
La mia ricerca ha inizio la sera stessa. Girando per il centro di Ubud, raccolgo un po’ di informazioni. Il giorno seguente richiamo il mio amico che, come promesso, batte tutti gli altri concorrenti. A guardare i chilometri sembra chiaro che questo ragazzo ci stia facendo una specie di favore.
Impacchettiamo di nuovo tutta la nostra roba e lasciamo anche la seconda delle nostre dimore. Prima di proseguire verso la costa, abbiamo, però, qualche commissione da sbrigare.
Dobbiamo prelevare dei contanti (fuori dalla città ci saranno sicuramente meno occasioni di farlo), dobbiamo passare dalla farmacia a fare la scorta di paracetamolo per Marika e dobbiamo fare una sosta al resort in cui abbiamo pernottato le prime notti. Stiamo per imbarcarci su un traghetto e nessuno di noi due ci tiene a vederlo affondare per il peso dei nostri bagagli! Il resort dove abbiamo passato i primi tre giorni qui a Bali mette a disposizione un servizio di deposito bagagli. Mi sembra un’ottima idea per evitare di portare sulle spiagge assolate di un’isoletta il fardello del nostro inverno neozelandese. Difficilmente mi serviranno giubbotti e maglioni laggiù.
Selezioniamo solo qualche cambio di biancheria, magliette e pantaloncini da portare negli zaini.
Una volta scaricata la zavorra, iniziamo a portarci sulla via per Amed. Ci fermiamo ad un bancomat proprio di fianco ad una farmacia (dettaglio importantissimo). Ritiro la somma che ci servirà per pagare il trasporto e qualche soldo per la sistemazione che ho prenotato. In farmacia, compriamo del paracetamolo e delle vitamine per Marika che non si è ancora del tutto ripresa dalla febbre. Una volta completate le nostre commissioni, rimontiamo in macchina e lasciamo Ubud. Durante il tragitto ho un’interessantissima discussione con il nostro guidatore. Mi faccio raccontare di come si vive da veri balinesi e faccio molte domande sulla religione e la cultura dell’isola. Dopo due ore, ci siamo ormai scambiati le rispettive storie di vita. Il ragazzo sembra piuttosto perplesso nel sentire di come Marika ed io siamo soliti allontanarci da casa per vivere anche anni interi da qualche altra parte. Non nascondo il mio stupore per il fatto che tanta perplessità arrivi da qualcuno che lavora sulle navi da crociera. Svolgere quel tipo di professione vuol dire partire spesso e passare parecchi mesi in mare ogni anno. Allora il mio amico mi risponde: – Quello è lavoro. Con i soldi che faccio in sei mesi di crociera riesco a pagarmi il resto dell’anno e ho anche dei risparmi per costruire il mio futuro qui. Non potrei mai nemmeno pensare di trasferirmi davvero da un’altra parte. Per noi la nostra comunità è tutto. Nessun vero balinese penserebbe di andarsene da quest’isola. – 
Le sue parole e l’attaccamento alla sua terra sono toccanti per un vagabondo come me che fatica a sentirsi a casa persino nel posto in cui è cresciuto.
La via per Amed si dimostra molto più lunga di quel che credevamo. Dobbiamo fermarci per il pranzo, così esprimo il desiderio di assaggiare qualcosa di tipico. Il nostro amico si ferma di fronte a un baldacchino di legno. Io non sarei riuscito a capire che in questo posto si vendesse del cibo. Un’anziana signora ci serve due piatti contenenti degli spiedini e una sorta di purè verde. Vengo invitato a passare gli spiedini nel purè e ad addentarli: semplicemente magnifico!
Sui bastoncini ci sono dei bocconcini di tonno marinato nelle spezie. Il pesce è tanto piccante che mangiarlo di per sé mi sarebbe impossibile. Il “purè” è, in realtà, un pasticcio a base di latte di cocco che si usa proprio per smorzare il piccante. Il contrasto di sapori è delizioso. Persino Marika che non mangia pesce, dopo il primo boccone, mi costringe ad ordinare un’altra porzione. Il conto lo paga il nostro guidatore che confessa di aver sborsato circa un euro a testa per i piatti e le bevande.
Siamo quasi arrivati a destinazione, ma l’ultimo tratto di strada è un percorso in molti punti non asfaltato che passa in mezzo a villaggi di costruzioni rudimentali.
Arriviamo ad Amed dopo quattro ore di viaggio. Fatichiamo un po’ a raggiungere la nostra sistemazione. Il posto si trova proprio al limite della spiaggia. Qui, in un grazioso giardinetto protetto dalla statua di Ganesha, sorgono tre casette in muratura. Una ragazza ci dà il benvenuto. Paghiamo e salutiamo il nostro accompagnatore dandogli appuntamento al nostro rientro a Ubud. Seguiamo la ragazza che ci mostra il nostro bungalow. Una terrazza ombreggiata fa da anticamera alla nostra stanza. Il letto è circondato da una tenda bianca e sulle lenzuola ci sono petali di fiore.
Fatico a credere che per meno di dieci euro a testa ci addormenteremo e ci sveglieremo in questa graziosa casetta in riva al mare.
Ci viene servito anche un cocktail di benvenuto. Mi stendo sul lettino della terrazza convinto che mi godrò davvero quest’oasi di pace. Invece Marika mi chiama dall’interno e mi pone una semplice e terribile domanda: – Dove hai messo la carta del bancomat dopo che hai prelevato? –
La verità è che io non mi ricordo di averla più vista dopo che l’ho inserita nello sportello. Inizia il panico: svuotiamo gli zaini, i sacchetti, le tasche, i portafogli. Niente.
Esco nel giardino e provo a spiegare all’inserviente cos’è successo, ma non riesco a farmi capire. La ragazza mi fa cenno di aspettare e raggiunge il telefono. Intanto mi metto a cercare in rete qualche informazione. Scopro che, al contrario di quanto succede da noi, qui, gli sportelli automatici erogano il denaro e solo successivamente restituiscono la carta. Da qualche forum scopro di non essere stato l’unica vittima di questo diabolico meccanismo. Tuttavia, non è chiaro cosa si faccia in questi casi. Il panico la fa da padrone. Cerco il numero per disattivare la carta, ma, essendo stata rilasciata in Nuova Zelanda, si tratterebbe di una chiamata internazionale e noi non abbiamo nemmeno il numero della carta da bloccare. Solo dopo un’ora di agitazioni scomposte, arriva il titolare della struttura che ci ospita. È un giovane ragazzo che parla un inglese discreto. Gli spiego la questione e lui si offre di fare da interprete per telefonare alla banca titolare dello sportello… Già… E chi si ricorda cosa c’era scritto sullo sportello?!
Ad un tratto mi viene un’idea. Apro il mio laptop e sfoglio la mappa ripercorrendo con Google Earth i nostri primi chilometri della giornata. Cerco le farmacie presenti nell’area finché non riconosco la vetrina di quella dove abbiamo comprato le medicine. Proprio lì di fianco riesco a leggere il nome dello sportello da cui avevo prelevato. Sotto la supervisione del nostro ospitante, chiamiamo la banca. Scopriamo che, se una carta restituita non viene estratta dopo trenta secondi, la macchina la riprende e la deposita in uno scomparto dedicato. Ogni mercoledì, gli addetti passano a svuotare i bancomat e portano tutte le carte alla sede centrale che le custodisce per due settimane prima di distruggerle.
Sempre sfruttando l’intermediazione del ragazzo balinese, lasciamo nome e cognome e chiediamo che la carta venga tenuta da parte. La signorina del call-center raccomanda di richiamare nei prossimi giorni per avere aggiornamenti.
Il ragazzo riattacca. Siamo ancora molto agitati, ma, controllando online i movimenti della carta, sembra che nessuno abbia tentato di usarla. Dev’essere certamente stata risucchiata dalla sportello.
Non possiamo far altro che aspettare. Nel frattempo, useremo il mio bancomat neozelandese nonostante le commissioni siano molto più alte. Ringraziamo il padrone di casa e ci ritiriamo nel nostro sconforto.
Questo imprevisto rovina il nostro arrivo ad Amed, ma proviamo a rifarci il giorno seguente. Al nostro risveglio possiamo vedere il sole sorgere sul mare a pochi passi da noi. Scendiamo nel giardinetto dove le due inservienti hanno già allestito un tavolino per la colazione. Mentre gusto i miei pancakes, chiedo dove posso trovare un motorino. Una delle ragazze prende il telefono e, nel giro di venti minuti, uno scooter mi viene recapitato davanti all’ingresso.
Marika ed io ci infiliamo i caschi e iniziamo un giro per il villaggio. Dobbiamo procurarci un biglietto per le isole Gilli tramite una delle compagnie che operano nel porto. Amed è un paesino in riva al mare sulla costa orientale di Bali. A parte qualche ristorantino e le sistemazioni per i turisti c’è poco altro. Il villaggio si sviluppa longitudinalmente sul litorale. Le costruzioni non si allontanano mai molto dalla spiaggia. Qua e là, qualche bazar offre prodotti di prima necessità, gelati, snack e creme solari. Vorrei fare snorkeling in queste acque famose per essere una tra le mete predilette dei subacquei, ma il mare è mosso. Sembra che ci si prepari ad una giornata d’ozio. Invece, ancora una volta, dobbiamo rimandare il tempo del riposo. Sto per imbarcarmi per un’isola semideserta dove certamente non troverò un supermercato, né tantomeno una farmacia… Figuriamoci se troverò un ottico! Ho in programma diverse immersioni, ma non posso immergermi con gli occhiali e ho quasi finito il liquido delle lenti a contatto. Pensavo che qui ad Amed avrei trovato una farmacia. Provo a chiedere ad alcuni uomini seduti al tavolino di un bar. Non sembrano parlare l’inglese, così provo a usare il termine “Apotek” (termine ereditato dalla dominazione olandese). A quel punto i quattro uomini si alzano e mi fanno cenno di seguirli. Raggiungiamo una stradina che porta fino ad una casa in muratura. Il cancello è chiuso. Uno dei miei accompagnatori inizia a chiamare qualcuno ad alta voce. Il cancello si apre e ne esce una donna vestita con un camice. Tutti quanti mi invitano ad entrare nel cortile. Una volta dentro, la donna apre la porta di uno stanzino da cui esce un odore forte. Quando entro, capisco di essere finito in una sorta di ambulatorio locale. La donna sta già indossando una mascherina da chirurgo…
– Fermi tutti! – Cerco di far capire con la mimica e un inglese scandito.
A quanto pare, le persone a cui mi sono rivolto devono aver creduto che io stessi molto male e mi hanno portato dal medico del villaggio. Anche la dottoressa non sembra capire molto di quello che dico. Alla fine riesco a spiegare che ho solo bisogno di una farmacia. Mi fanno intendere che quella più vicina è molto distante da Amed. Non mi resta che inforcare motorino e risalire la via verso la città di Amlapura. La strada passa attraverso molti piccoli villaggi immersi nel verde. Sullo sfondo, il grande vulcano Agung domina il panorama.
Arriviamo ad Amlapura in circa quaranta minuti. Iniziamo la nostra ricerca concentrandoci sulle farmacie che suggerisce Google Maps. Della prima non c’è traccia. La seconda è chiusa. Raggiungiamo l’ultima. Più che una farmacia, questo sembra un garage con un bancone dietro al quale c’è un ammasso scomposto di garze, disinfettanti e medicinali. La farmacista non capisce una sola parola di quello che mi serve, così mi fa cenno di entrare e cercare da solo. Do un’occhiata in giro e sotto al bancone, ma non credo che qui abbiano del liquido per lenti a contatto.
Salutiamo e ce ne andiamo rassegnati. Mentre cammino verso lo scooter dandomi del deficiente, noto un’insegna con disegnato sopra un paio di occhiali. Si tratta di uno spartano negozietto di ottica. Nella vetrina scorgo un paio di bottigliette dall’etichetta sbiadita. Sembrerebbe proprio del liquido per lenti a contatto. Chiedo alla commessa di mostrarmene una. La ragazza mi porge il contenitore togliendo, con una mossa lesta, il prezzo stampato sul tappo. Quando chiedo quanto costa, mi viene risposto che il totale è 140.000 rupie. La cifra stampata sul tappo parlava di 80.000 rupie. Quando faccio notare la cosa, la negoziante finge palesemente di non capire. È allora che sguinzaglio Marika! Cinque minuti netti di cazziatone e la commessa mi lascia la bottiglietta per 90.000 rupie. È sempre più di quel che costava, ma bisogna mettere in conto la maggiorazione automatica per i turisti. Aldilà del fatto che questo trattamento sia giusto o sbagliato, diecimila rupie in più non sono un problema di fronte alla risoluzione della questione “immersioni”.
Porgo i soldi alla commessa, che ha ancora gli occhi sbarrati per l’intervento di Marika, prendo la merce e torniamo allo scooter.
Torniamo ad Amed e cerchiamo un biglietto per salpare il mattino seguente verso le Gilli. Lo troviamo grazie al proprietario del nostro bungalow.
Passiamo il pomeriggio a girare lungo la costa in cerca di un buon posto per fare un bagno. Raggiungiamo il punto dove si trova il famoso Japanese Wreck, il relitto di una nave giapponese affondata in queste acque durante la guerra.
Indosso l’attrezzatura da snorkeling e mi tuffo nel mare anche se è decisamente mosso. Nuoto fino alla boa che segnala il relitto e provo a immergermi. La temperatura dell’acqua è sorprendentemente tiepida, quasi calda. Provo a scendere in profondità diverse volte, ma la marea solleva la sabbia dal fondale rendendo nulla la visibilità. Le onde si fanno sempre più alte, così, decido di tornare a riva. Un po’ deluso, riprendo lo scooter e riporto me e Marika al nostro bungalow. Visto che non ci sono le condizioni per un bagno, ci dedichiamo ad una più tranquilla passeggiata sulla spiaggia…
A volte non c’è bisogno di esplorare gli abissi per imbattersi in qualcosa di insolito! Dalla distanza vediamo molte persone radunate attorno a due grandi fuochi. Più ci avviciniamo, più sento un odore piuttosto familiare: sembra che ci sia una grigliata in spiaggia. Solo quando arriviamo nei pressi, vediamo due maiali interi, sviscerati e impalati, sospesi sopra alle fiamme. Io rimango perplesso, mentre Marika si rifiuta di guardare.
Pochi metri più avanti, ci sorprendiamo di nuovo nel vedere un grosso cane addentarne un altro (poco più che cucciolo), afferrandolo per la gola e sbattendolo come se volesse staccargli la testa. Cerco un modo per distrarre l’aggressore, ma nemmeno le mie grida sembrano distoglierlo dalla sua furia. Fortunatamente un uomo del posto lancia una pietra che colpisce in pieno la bestia mettendola in fuga.  
Anche la nostra passeggiata rilassante ci ha regalato degli episodi degni di nota. Torniamo al bungalow e ci prepariamo per la cena.
Passiamo la serata in un ristorantino in riva al mare per goderci finalmente un po’ di calma… Beh, si mette a piovere! Rincasiamo presto.
– Menomale che domani ce ne andiamo! – Esclamo io sarcasticamente prima di mettermi a letto. Effettivamente, da quando siamo partiti da Ubud, c’è stato un imprevisto dietro l’altro. Mi consolo pensando che, tra poco, saremo su un’isoletta dove non ci saranno nemmeno i veicoli motorizzati.
– Manca solo qualche ora… Cosa può andare storto? – Mai farsi troppe domande…

Ci svegliamo di buon mattino e corriamo a fare colazione per farci trovarci trovare pronti dal minibus che ci porterà all’attracco del battello.
Aspettiamo quasi due ore quel maledetto pullmino… Arriviamo al punto di attracco delle barche che è già quasi mezzogiorno. Non c’è un vero porto. I battelli arrivano a ridosso della spiaggia e sganciano una passerella per far salire i passeggeri. Ne vediamo molte di queste imbarcazioni arrivare e salpare, ma della nostra non c’è traccia. Aspettiamo con gli altri del nostro gruppo. Parlando con un ragazzo, capiamo che non c’è un vero e proprio programma per gestire i battelli. Le compagnie accettano tutti coloro che vogliono acquistare i biglietti senza poi curarsi del fatto che non hanno abbastanza posti per tutti. Tra i presenti ci sono persone che sono state rimandate in albergo e fatte tornare il giorno seguente. A noi va meglio (se così si può dire): la nostra barca arriva “solo” con tre ore di ritardo. Veniamo fatti salire attraverso una traballante passerella. Ci sistemiamo a bordo in due posti vicino al corridoio centrale. Quando la barca accende i motori, mi rilasso e penso che, ormai, siamo in dirittura d’arrivo per la nostra isoletta… Grave errore! La barca sfreccia velocissima (pure troppo), rimbalzando all’impazzata tra le alte onde del mare. In più di un’occasione prendiamo forti colpi quando la chiglia colpisce la superficie d’acqua. Qualcuno grida al capitano di rallentare. Siamo già in ritardo di cinque ore… È inutile avere fretta adesso!
Quando siamo ormai lontani dalla costa, nel mezzo del blu, inspiegabilmente, la barca si ferma. I motori si sono spenti e le onde alte del mare ci mandano su e giù in continuazione. Qualcuno ha paura, altri ridono, io sto per vomitare. Gli uomini dell’equipaggio sembrano non sapere perché sono al mondo. Solo dopo diversi tentativi di accensione, altrettanto inspiegabilmente, la barca si rimette in moto. Passo il resto del viaggio in uno stato di tensione. Vorrei solo arrivare e scendere da questa bagnarola. Riesco a rilassarmi solo quando vedo in lontananza la sagoma della prima delle isole Gilli. Ancora una volta, però, è troppo presto. Rallentiamo di nuovo. Stavolta non per un nostro problema, ma perché ci siamo imbattuti in un’imbarcazione rovesciata. La barca in questione galleggia sottosopra e, sulla sua chiglia, i passeggeri si sbracciano per chiedere aiuto. Mi chiedo come sia potuta succedere una cosa del genere, ma non posso dirmi davvero stupito. Il nostro battello è troppo pieno per poter soccorrere i malcapitati, così aspettiamo che uno più grande ci raggiunga e lasciamo a loro il compito di imbarcare i naufraghi. Facciamo la prima fermata sulla spiaggia di Gilli Trawangan. Questa è la più grande delle Gilli. È considerata il posto ideale per giovani festaioli che cercano la vita notturna. Non è decisamente la nostra fermata! Una volta che abbiamo fatto scendere i passeggeri che erano destinati qui, riprendiamo la navigazione. L’arcipelago delle Gilli è costituito da tre piccole isole di cui Trawangan è la più grande e Meno la più piccola. Le possiamo vedere tutte intorno a noi con le loro verdi palme e le loro spiagge bianche che si affacciano su di un mare cristallino. Finalmente arriviamo alla nostra isoletta prescelta: Gilli Air, la seconda per estensione. Attracchiamo in un piccolissimo porticciolo e scendiamo con i nostri zaini su una stradina polverosa che corre tra i piccoli edifici di quello che si potrebbe definire il “centro”. Incontriamo una grande quantità di tuktuk trainati da cavalli. Come mi è stato anticipato, su Gilli Air non ci sono mezzi a motore: solo cavalli, biciclette e motorini elettrici.
Nell’aria, i canti della moschea ci ricordano che l’Indonesia è un paese a maggioranza islamica. Solo Bali fa eccezione con la sua vocazione induista.
Ci dirigiamo subito verso l’indirizzo della stanza che abbiamo prenotato. Ci ritroviamo in un giardinetto dove alcuni bambini stanno giocando. Quando ci vedono, uno di loro entra in casa a chiamare la madre. Aspettiamo qualche minuto. Veniamo poi raggiunti da una donna vestita con abiti tradizionali e velo, che ci versa del succo di frutta e ci invita ad accomodarci su di una confortevole poltrona di formiche. Noi siamo stanchissimi. Vorremmo solo sistemarci nella nostra stanza, ma la donna continua a intrattenerci in una lunga conversazione. Sembra quasi che stia prendendo tempo… Effettivamente è così.
Abbiamo prenotato via internet, ma sembra che nessuno abbia controllato la posta elettronica recentemente. Il sito ci ha dato la conferma automatica della prenotazione, ma, in realtà, la stanza non è disponibile. Fatico a crederci… Tutti questi imprevisti iniziano davvero a stancarmi. La donna legge il disappunto sui nostri volti (in particolare su quello di Marika). Si offre di trovare una soluzione. Alla fine della giornata veniamo sistemati in uno dei bungalow di proprietà di suo cugino. La sistemazione non è quella che avevo prenotato e nemmeno le somiglia, ma, stanco come sono, mi basta che ci sia un letto. Lasciamo cadere gli zaini e ci sdraiamo sfatti sulle lenzuola. Abbiamo scelto quest’isola perché è raccomandata a chi cerca un estremo relax… Beh, noi ne abbiamo certamente un gran bisogno!

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