Nuova Zelanda Capitolo 3: Coromandel, The Pinnacles

Written by passengerzero

26 Giugno 2017

La giornata passata a Cathedral Cove e sulla spiaggia di Hahei ha saziato molto bene la nostra voglia di mare. Avendo a disposizione altri due giorni da passare nella zona, cerchiamo un’alternativa all’acqua.
Ricordo quanto mi aveva detto un collega del supermarket. Carichiamo gli zaini e ci buttiamo sulla Whale in direzione della Kauaeranga Valley. Ci portiamo sul lato occidentale del Coromandel e, giunti all’altezza di Thames, prendiamo la strada che risale la vallata. La via si addentra nel cuore della penisola dove il paesaggio costiero cede il passo a verdi foreste.
Costeggiamo un torrente che ci accompagna fino a quando la strada si fa stretta e l’asfalto si tramuta in  terra battuta e ghiaia. I chilometri che percorriamo non sono molti, ma impieghiamo lo stesso parecchio tempo ad arrivare in fondo per via della tortuosità del tragitto.
Ci fermiamo al Kauareanga Visitor Centre che ospita una filiale del Department of Conservation. Qui raccogliamo le mappe e le informazioni che ci servono per affrontare la camminata.
Proseguendo ancora per qualche chilometro, raggiungiamo la fine della strada con il punto da cui partono le escursioni.
Carichiamo gli zaini sulle spalle e ci incamminiamo sulla Webb Creek Track, un sentiero che punta verso il Pinnacles Hut.
Ci troviamo quasi subito ad attraversare un ponte tibetano che permette di procedere oltre un torrente dal letto roccioso.
Il percorso continua salendo nel fitto della foresta fino ad incontrare dei grossi gradini tagliati nella pietra. Queste opere artificiali risalgono all’era dei primi insediamenti inglesi. Tra le occupazioni dei pionieri occidentali, accanto alla ricerca dell’oro e alla coltivazione, c’era il taglio del legname. Queste foreste erano un tempo ricche di piante enormi dal legno pregiatissimo. I kauri sono tra gli alberi più grandi al mondo per cubatura. Possono arrivare a misurare settanta metri in altezza e a una circonferenza del tronco di nove metri. Già le popolazioni maori sfruttavano il legno ricavato da queste piante per la fabbricazione di canoe, ma fu con l’avvento del colonialismo che le foreste neozelandesi iniziarono a spopolarsi di esemplari di kauri. Recentemente il governo ha iniziato una campagna di protezione di questi alberi e finanzia diverse iniziative a favore del ripopolamento.
Continuiamo a salire sul sentiero con fatica per la pendenza e il caldo torrido. Ringrazio il cielo che questa escursione sia poco esposta al sole che in questa parte di mondo è particolarmente aggressivo.
Ora i gradini di pietra lasciano spazio a quelli che qui vengono chiamati skids. Si tratta di due lunghe stecche di legno posizionate longitudinalmente sul terreno e unite da lato a lato da stecche più corte equidistanti tra loro. La costruzione assomiglia ad una scala fatta di lunghi gradini. Per la camminata di un uomo non risulta una soluzione confortevole, ma di certo rendeva la vita meno dura ai cavalli da soma che sfruttavano questa opera come una slitta per trainare i carichi di legname.
Ad un tratto la via si fa ancora più ripida e prosegue tra curve e tornanti fino ad arrivare alla cresta della montagna. Siamo stanchi e disidratati. Abbiamo già terminato l’acqua a nostra disposizione e manca ancora un’ora di cammino per arrivare al rifugio. Fortunatamente il percorso diventa un saliscendi piuttosto pianeggiante. Ora gli alberi sono bassi e siamo più esposti al sole e anche ai panorami sulla Coromandel Forest. Un’ampia vallata verde corre fino a farsi pianura e a raggiungere il mare in lontananza.
Procediamo veloci fino al sentierino che si stacca dalla via per i Pinnacles e si dispiega tra i pini bassi fino al Pinnacles Hut. Percorriamo una passatoia di legno che ci porta proprio all’ingresso del rifugio. La costruzione è piuttosto grande e conta ottanta posti letto, una zona cucina, i servizi e un ampio terrazzo da cui si gode di un panorama a 180 gradi sulla foresta.
La struttura è presidiata dai guardaparco che ci domandano se abbiamo prenotato per la notte. Spieghiamo che siamo solo di passaggio e chiediamo da bere. Purtroppo qui non c’è acqua potabile. Non esiste un acquedotto e quella che esce dai lavandini è acqua piovana, raccolta nelle cisterne. Provo a riempire la mia bottiglietta. Se guardo in controluce, vedo che il liquido che è uscito dal tubo è torbido, di un colore verdastro e decisamente poco invitante. Torno dal guardiano e gli chiedo se, a suo parere, questa robaccia è bevibile.
L’uomo solleva il suo cappello e mi guarda con aria divertita: – Beh, non credo che morirai per così poco! –
Sarà per via della natura cruda e primordiale che domina queste terre, ma le persone a questa latitudine sviluppano un atteggiamento decisamente “tosto” quando si parla di sopravvivenza.
In fondo credo che abbia ragione e, dopotutto, per via della sete o per avvelenamento, sono comunque spacciato. Una volta appurato che la melma verdastra non è letale, anche Marika fa il pieno alla sua borraccia.
Ci sediamo nella zona cucina per un veloce pranzo di barrette e frutta. Guardandomi intorno, mi viene da fare un paragone tra i rifugi montani a cui sono abituato e quelli neozelandesi. Nella bergamasca, in un posto del genere, ci sarebbe stato un ristorante con cucina casalinga e una scelta di grappe da mettere in imbarazzo un alcolista. Qui ci sono solo le strutture di base. Mi piacerebbe fermarmi per la notte, ma senza sacco a pelo personale non è permesso stendersi sui materassi. Inoltre non abbiamo vivande né stoviglie con cui cucinare.
Torniamo dunque sul sentiero e proseguiamo per i famosi Pinnacles. Come suggerisce la parola, si tratta di pinnacoli come quelli presenti sulle guglie di alcune cattedrali. In questo caso, però, non c’è nulla di artificiale. Queste punte di roccia spiccano dal verde della montagna formando vere e proprie torri asimmetriche che svettano verso il cielo.
Dal nostro sentiero iniziamo a vederne la cima. La camminata è ripida, ma ci sono passatoie di legno nei punti più sconnessi e, inizialmente, non ci sembra nulla di troppo impegnativo. Cambiamo opinione quando ci troviamo ai piedi della prima delle torri. Una scaletta di metallo porta alla base del primo pinnacolo da cui inizia un percorso verticale che costringe a usare le braccia per arrampicarsi lungo un ripido canyon.
Da qui in poi è tutta un’arrampicata. In prossimità dei punti più pericolosi sono state istallate delle maniglie di metallo da usare a mo’ di scala a pioli. Marika minaccia di fermarsi più di una volta, così devo ricorrere alla migliore arte oratoria per motivarla a proseguire. Le parlo della meravigliosa vista di cui godremo dalla cima e della soddisfazione che proveremo quando avremo vinto la paura e le vertigini.
Quando arriviamo sulla cima dell’ultimo pinnacolo, scopriamo che la mia retorica motivazionale non si discosta molto dalla realtà. Saliamo in uno spazio angusto fino alla punta di roccia che sovrasta tutta la foresta. La vista si apre a 360 gradi arrivando all’oceano. Una distesa di verde fitto domina la terra per una distanza indescrivibile. Non ci sono segni di insediamenti o di opere artificiali dovunque si guardi. La sensazione è quella di essere interamente inghiottiti dalla natura selvaggia. 
Dopo qualche minuto di tentennamento, iniziamo a spostarci tra le strette cime rocciose come se fosse una cosa normale. Le nostre paure non hanno superato l’ultimo tratto. L’atmosfera che si respira da quassù è di una calma meravigliosa. Il vento soffia forte, eppure gentile.
Ci fermiamo per un po’ a goderci il premio alle nostre fatiche. Alla fine della giornata avremo camminato e ci saremo arrampicati per un totale di circa otto ore. Lasceremo il Coromandel per tornare ad Auckland.
La Whale non ci ha tradito, le nostre gambe nemmeno. Non ci serve sapere altro.
– Isola del Sud, stiamo arrivando! –

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