Personalmente, nemmeno da molto tempo, ho fatto pace con le mie origini. Ho fatto a pugni molte volte con le mie radici e con quella cittadinanza italiana stampata sul passaporto, quindi non vengo qui a sventolare il tricolore o a parlare di patriottismo. Ho accettato la mia italianità ma, per la verità, non ho accettato proprio tutto. Non mi sono mai del tutto fidato dei miei connazionali né tanto meno delle istituzioni che abbiamo, da trent’anni a questa parte, messo lì a rappresentarci. Non mi è mai andata giù la spietatezza di certi egoismi, soprattutto quando mescolata con l’ipocrisia bigotta dei crocifissi di comodo. Non sopporto l’ignoranza cieca e rabbiosa che affolla le strade di quello che un tempo era considerata la terra della cultura, del genio e dello spirito. Mi fa ancora più incazzare l’incoerenza di chi sventola un tricolore gridando parole di grandezza per sponsorizzare la stessa mediocrità che impedisce al nostro paese di diventare grande.
Non le ho mica accettate queste cose e credo che mai lo farò. Me ne sono andato, infatti.
In questi ultimi anni ho costruito un’indipendenza personale, soprattutto a livello di appartenenza geografica. Forse il dito indice di qualcuno starà già iniziando a sollevarsi contro il traditore della patria… e allora ti invito a farti un giro insieme a me sulle strade sconosciute dove la gente non capisce quello che dici, in camere di tre metri quadri condivise con chi è di passaggio, tra i tavoli di una pizzeria dove la tua laurea non ti salva dal sentirti un imbecille quando chiedi per la terza volta di ripeterti l’ordinazione. Fatti un giro nell’incertezza che non ha niente a che vedere con la meritocrazia, nelle decine di lavori improvvisati, nei cantieri o, meglio ancora, nei campi bruciati dal sole. Solo quando saprai quanto costa l’indipendenza, soltanto allora, potrai giudicare e, credimi, non lo farai. Perché ti sarai fatto un’idea di quanto costa la libertà, e di come non sia mai una conquista ottenuta “una volta per tutte”. Ce lo dimostrano i fatti degli ultimi mesi quanto sia veloce perdere quello che è stato ottenuto con secoli di lavoro e di sacrifici, a volte anche di vite umane.
E in questi mesi ho guardato, come un esiliato, la mia terra venire flagellata da qualcosa che non si meritava e, ancora una volta come molte altre, mi sono chiesto: “come fa l’Italia a rimanere ancora in piedi?”
Perché è certo che il nostro paese sia abitato da uomini e donne guidati da valori immensi, ma è anche vero che, accanto a loro, ne esistono molti altri che nel migliore dei casi sono confusi mentre nel peggiore sono criminali assetati di potere.
Come fa ad andare avanti questa Italia nonostante la sfilata dei tarli che da sempre la rosicchiano dall’interno?
La risposta che mi sono dato è che esiste una “piccola Italia” che si contrappone a tutto questo. È un’Italia silenziosa e dimessa: non la vedi intasare i social con un mare di cazzate, non la senti gridare, non va in giro sventolando bandiere o croci. Questa piccola Italia è quella di coloro che lavorano silenziosamente per riparare i danni; è fatta di contadini nei campi, di lavoratori, di medici, di infermieri combattenti, di insegnanti e ricercatori con lo stipendio ridicolo, di volontari, di artisti, di gente che si rifiuta di monetizzare la rabbia offrendo speranza di tasca propria. È quella che non aspetta l’ordine del presidente o l’anticipo del governo per calare un cestino del balcone e dare da mangiare al vicino di casa, è quella dei vecchi che si ricordano della guerra e che tranquillizzano i figli che se la fanno sotto per l’unica cosa che finora gli sia capitata a livello specie. È quella di chi la fede la professa in privato, è quella di chi risparmia il tempo passato a dire agli altri cosa fare e si ingegna per fabbricare respiratori, che crea associazioni di volontari per l’assistenza alle persone, è un’Italia che riesce a regalare un sorriso sfinito anche da sotto una mascherina.
Vuoi scommettere che sarà proprio questa Italia che riesce a mancare a chi se ne va, che ti fa essere fiero di esserci nato, che sa di umiltà e di umanità, quella che, ancora una volta, ci rimetterà in piedi?
Tanti auguri alla mia “piccola Italia”!
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