I luoghi e le persone che questa terra mi ha donato mi hanno arricchito al punto che non ricordo nemmeno quel ragazzo impaurito che aveva lasciato la sua casa. Adesso la mia casa è anche qui. Ho sotterrato un pezzo del mio cuore nella sabbia di queste coste lontane. Trattamelo bene finché non torno!
29 Giugno 2016
Arrivederci.
Ciao! Negli ultimi giorni ho ricevuto molti messaggi da parte di amici, conoscenti e lettori che si chiedono dove io sia finito; la maggior parte contengono domande del tipo «Cos’è sta storia della Nuova Zelanda?», «Ma quindi adesso sei lì per sempre?». Ho pensato, dunque, che fosse carino fare un piccolo riassunto di quello che è successo e di spiegare perché e per quanto sarò in Nuova Zelanda anche perché, dopotutto, tenere le persone importanti al corrente dei miei spostamenti è proprio lo scopo con cui è nato questo blog.

Inzio dal dire, per chi non lo sapesse, che nel 2015/2016 ho vissuto per circa un anno e mezzo in NZ. Sono venuto qui dopo la morte di mia madre con un visto vacanza/lavoro. La mia amica Giovanna che vive qui da un po’ mi aveva ospitato dandomi la possibilità di usare un capanno della sua proprietà per dedicarmi alla scrittura. È stato proprio nelle foreste a nord di Auckland che mi sono messo a scrivere quello che poi è diventato Zero. La mia prima avventura in NZ ha significato una ripresa dei progetti e dei sogni che avevo dimenticato nel cassetto; forse anche per questo lasciare questa terra era stato tanto difficile. Ricordo ancora le mie lacrime sull’aereo che decollava strappandomi via da un luogo in cui credevo che non avrei più rimesso piede perché certo, sarei potuto tornare come visitatore, ma sempre ammesso di avere almeno un mese a disposizione e una bella cifra da dedicare a un viaggio del genere. Non entrerò nel merito dei motivi per cui arrivai alla decisione di tornarmene a casa, ma fidati se ti dico che avevo un bel po’ di buone ragioni.

Ho passato questi tre anni sognando di riuscire tornare in un posto dove sono stato felice (dopo un periodo devastante) e, contro ogni aspettativa, nel 2018 finisco a lavorare come trip leader (spiegherò di che si tratta in un altro articolo) per una compagnia americana che opera in tutto il mondo, Nuova Zelanda compresa. La prima stagione la passo tra Francia (Provenza) e Italia (Dolomiti e Puglia). Al momento di richiedere lavoro per la stagione invernale, nonostante la tentazione forte, non faccio nemmeno domanda perché ho troppe cose da portare a termine e non posso andarmene.
Dopo la stagione estiva resto: rinnovo la casa, lavoro all’editing di Zero, lo pubblico, torno a studiare, a suonare e a insegnare; passo un bel po’ di tempo con la famiglia.
Arriva la primavera e concludo il lavoro da insegnante per iniziare una nuova stagione come Trip Leader: inizio in Toscana con tour di bici che mi fanno sudare come non accadeva da un po’; poi Cinque Terre, Dolomiti, di nuovo Toscana e laghi (Orta, Maggiore, Como).

A giugno faccio domanda per lavorare la stagione invernale in Nuova Zelanda (mi tremavano le mani al momento di compilare la candidatura); la risposta arriva ad agosto: preso!
I pochi giorni di riposo durante la stagione estiva li spendo tra documenti, visto, e burocrazia varia.
Alla fine del mese, dopo una brevissima parentesi a casa, torno in Toscana e lavoro per tutto settembre con solo un giorno di riposo tra un trip e l’altro. All’ultimo giorno del giro in bici del Chianti devo chiamare il mio collega e farmi venire a recuperare con il furgone perché sono cotto!
Ritorno di nuovo a casa all’inizio di Ottobre e mi rimangono solo pochi giorni per preparare la valigia e partire per l’altro capo del mondo. Completo i documenti che mi servono, riordino la casa, saluto i pochi che riesco a incontrare, faccio i bagagli e via!

Il giorno della partenza scopro che tutti i voli dell’aeroporto di Linate sono stati spostati su Malpensa e al mio arrivo trovo un sacco di gente in coda per i controlli, in più penso bene di perdere il telefono che per fortuna viene ritrovato dal personale del bar dell’aeroporto a cui lascio una bella mancia. Riesco a salire sull’aereo appena in tempo e passo le 13 ore fino a Singapore in preda alla solita paura di volare. Dormo poco ma penso che tanto ho ancora altre nove ore di volo da Singapore ad Auckland per farlo. Atterrato a Singapore vado dritto al gate ma faccio un’altra “bella” scoperta: il volo per Auckland è stato ritardato per motivi tecnici… non sanno dirmi quando potremo partire. Ci danno un buono per i ristoranti dell’aeroporto invitandoci a prendercela comoda. Guardo un paio di film nel cinema dell’aeroporto e mangio un boccone. Passano cinque ore prima che la compagnia riapra l’imbarco. Salgo sull’aereo in uno stato comatoso e sarei volentieri crollato nel sonno se non fosse stato per due scoppi nel motore di destra in fase di decollo che riaccendono all’istante il mio terrore. Passo il viaggio tra un film e l’altro con l’orecchio teso ad ascoltare le turbine (lo so, sono fuori come un balcone)… ogni tanto crollo, ma i miei svenimenti non durano più di qualche minuto. Per fortuna sono seduto di fianco a una coppia di neozelandesi e parliamo un po’ del posto come se stessimo tutti e tre tornando a casa.

Dopo trenta ore di viaggio intravedo le luci di Auckland e mi commuovo pensando a quale concatenamento di eventi mi ha riportato qui. Atterro alle 6 di mattina del nove di ottobre (invece che a mezzanotte dell’otto) e, nonostante l’orario, la fila per i controlli è chilometrica. Faccio fatica a reggermi in piedi, mi sembra di crollare, ma mi faccio coraggio pensando che, non appena avrò sbrigato le faccende burocratiche, avrò un mese e mezzo libero. Sono arrivato con largo anticipo rispetto all’inizio della stagione proprio per procurarmi la patente neozelandese e il permesso speciale per guidare mezzi commerciali (ci vuole un po’).

Riesco a uscire dall’aeroporto alle sei e mezza; David mi viene a prendere. È bello rivedere il mio vecchio amico dopo un anno esatto che era stato da me in Italia. David mi mostra la sua macchina nuova mentre guida verso casa con le prime luci del mattino. Rivedo la vecchia strada che facevo per andare al lavoro, il CBD e la Sky Tower… ho come la sensazione di non essermene mai andato. Arriviamo nella Peninsula: c’è qualche negozio in più ma tutto sembra rimasto uguale. Nel vialetto d’ingresso vedo la vecchia auto di David parcheggiata: «La devo mettere in vendita ma ho aspettato perché ho pensato ti potesse servire.» Dire che è un grande è dire poco.
Entriamo in casa, vado a sistemare i bagagli nella camera degli ospiti e nell’armadio ritrovo la scatola lasciata tre anni fa con tutti i documenti e i biglietti di auguri del compleanno che avevo festeggiato qui. Non mi sembra vero di essere davvero tornato.

Le indicazioni della compagnia sono di presentare la domanda per la patente il prima possibile; così non vado a dormire ma rimonto in macchina e galleggio (questo mi sembra il verbo più appropriato) verso Westgate per far riattivare il mio vecchio numero di telefono, per farmi dare una nuova carta prepagata dalla banca e all’ufficio motorizzazione dove passo un’ora e mezza tra coda e burocrazia varia. Mi sento ubriaco e prego di capire bene cosa mi chiede l’impiegato (se faccio errori rischio di complicare il tutto).
Rientro a casa di David e mi butto a letto. Mi alzo a fatica che è quasi sera ma mi sforzo di restare vigile per evitare di risvegliarmi poi nel cuore della notte; scendo in salotto. Forse ero troppo rintronato per notarlo ma sembra che David abbia allestito un piccolo studio di registrazione: due chitarre, basso, microfono a condensazione, computer con scheda audio esterna… chi mi conosce potrà immaginare la mia faccia.
Suoniamo, ceniamo, chiamo casa, cerco di tirare un orario decente prima di lasciarmi crollare nel letto.
È passato quasi un mese dal giorno che ho rimesso piede in NZ dopo tre anni, ma la sensazione che ho avuto da subito è quella di non essere mai andato via. Mi sentivo parte di questo luogo quando ho vissuto qui ed ero convinto che la distanza avrebbe cambiato questa cosa. Tornare non è stata un’esplosione di gioia, di nostalgia o un’emozione eclatante… è stata la pacata e serena sensazione di sentirsi a casa, sebbene questa “casa” sia esattamente dall’altra parte del mondo rispetto al posto in cui sei nato e cresciuto.

In questo periodo la primavera (emisfero australe=stagioni invertite=a sto giro salterò autunno e inverno) non è stata molto gentile: la pioggia e il vento sono stati costanti per quasi tre settimane rendendo l’aria aperta un appuntamento da rimandare, perché quaggiù non c’è ombrello che tenga (a meno che non si stia provando ad essere spazzati via).
Il tempo poco magnanimo è stato in realtà molto utile per me, che avevo già deciso di tornare alle attività trascurate durante la stagione: la scrittura e la musica.
Ecco allora che lo studio messo in piedi da David sta tornando utile per registrare qualche pezzo e le lunghe e grigie mattine sono servite per lavorare al prossimo libro. Eh già, perché Zero era solo una parte di quello che avevo scritto nel mio anno e mezzo qui in NZ.
Ovviamente non si è trattato solo di scrivere e suonare ma ho rivisto anche Giovanna, suo figlio (che adesso è più alto di me) e altri vecchi amici; ho approfittato delle tregue del clima per uscire in mountain bike, per fare camminate e corse nel bush. Tornare a respirare questi odori, ad ammirare questi paesaggi e a rincontrare alcuni tra i migliori amici che ho è una benedizione e, nonostante qualche problema di ordinaria amministrazione, non passa giorno che non dica “grazie” per tutto questo. Tra l’altro ora si va verso l’estate e le giornate stanno migliorando un bel po’.

Tra una settimana ripartirò per l’isola del sud dove si trova la casa che la compagnia ha affidato a noi Leader. Lì dovrò studiare un paio di viaggi di dieci giorni l’uno e, con tutta probabilità, finirò a guidare un trip di bici che va da Christchurch a Queenstown… preghiere e ceri sono ben accetti!
Questo è tutto per il momento, posterò qualche foto e magari qualche registrazione (se la vergogna lo permetterà). Ovviamente mi fa piacere anche ricevere notizie oltre che darne quindi, se ti va, scrivimi nei commenti, oppure via mail oppure via Facebook, oppure come ti pare.
That’a all, folks! A presto!
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