Ogni cammino inizia con un passo… nel vuoto.
Cosa restava? Tolta la possibilità di una serenità passata così vicino da rendersi credibile a due occhi abituati a brancolare nel buio di una tempesta senza fine, cosa restava?
Era il diciassette maggio del duemiladodici, non dormivo né mangiavo decentemente da diversi giorni. Il crollo delle poche certezze su cui si fondava la mia vita mi aveva gettato in pasto alla rabbia e allo sconforto; ma alla fine anche quel fuoco si spense e quello che lasciò era solo un desolante senso di vuoto.
Zero comincia con il racconto di una perdita, anzi, per essere precisi, di tre perdite. La prima è la perdita della serenità, dettata allora da una serie di problemi e di situazioni esauste che mi trascinavo sin dalla giovinezza, a cui si era aggiunta anche una vecchia minaccia sulla vita di mia madre. La seconda è una perdita sentimentale, quella di una relazione durata anni e di quel senso di “sicurezza” che si accompagna all’essere amati da qualcuno. La terza è una perdita più materiale ma altrettanto importante, quella del lavoro che, per un giovane italiano nel picco della crisi economica, significava terrore puro.
Sono convinto che si viva per tentativi. Non ho mai creduto alle vite “decise a tavolino”. Se c’è un significato all’esistenza dell’essere umano, io credo che sia da ricercare nell’esperienza. A quei tempi avevo ventinove anni e non avevo certo l’aria del saggio, però avevo già vissuto tante vicissitudini e avevo fatto tante esperienze in molti campi, soprattutto quello sentimentale e quello lavorativo. E allora come avevo fatto a ridurmi in quello stato?
Ad un certo punto del mio percorso, dovevo aver sviluppato la sfiducia. I miei attacchi di panico e le crisi d’ansia che mi accompagnavano da anni avevano già parlato molto chiaro: io avevo paura. Non era una cosa che mi aspettavo da me stesso… a nove anni avevo affrontato il cancro di mia madre, a dodici l’infarto di mio padre e a quindici la loro separazione. Ero entrato e uscito vivo da diverse battaglie… Conservavo da sempre un’idea di me stesso come quella di un combattente coraggioso.
E allora, da dove derivava tutta quella paura? Tutto quel dolore?
Certe correnti filosofiche affermano che il ruolo del dolore è un po’ come quello di una sveglia. Se mettiamo una mano sul fuoco, il dolore ci avverte che la dobbiamo ritrarre. Allo stesso modo, il dolore mentale o spirituale viene a dirci: “Ciccio, svegliati e cambia antifona!”
Questa sveglia era suonata per me già molte volte, ma come un impiegato che odia il suo lavoro, l’avevo sempre soffocata sotto al cuscino.
“Ci penserò domani”, “lo farò un’altra volta”, “mi piacerebbe”, “lo spero”… Ah, quanto costa caro non alzarsi al suono della sveglia!
Di colpo hai dieci anni in più dell’ultima volta che ti è capitata l’occasione di seguire il tuo intuito sulla strada che volevi veramente imboccare. Tuttavia anche la tua paura ha dieci anni in più, ed è diventata forte.
Oltretutto, in questi dieci anni hai collezionato un sacco di cose; cose di cui magari non ti importa, ma sei pur sempre un possessore di cose, dannazione!
E allora giù, con le unghie e con i denti, a cercare disperatamente di aggrapparti ai cocci di un’esistenza che non ti appartiene più già da molto, molto tempo.
“Con lo sbattere della porta se ne andava l’ultimo treno per una vita normale…”
Chi l’avrebbe mai detto che proprio quel crollo sarebbe stato la condizione necessaria per ritrovare la via e per costruire la vita che amo così tanto?Così inizia quella pagina di diario, scritta proprio in quel diciassette maggio duemiladodici, che è diventata la prima pagina di Zero.
Se potessi parlare a quel Davide che disperato si strugge sui gradini di un santuario immerso nel verde, gli direi queste poche parole:
Piccolo mio, quanto mi dispiace che stai così male. Se potessi mostrarti che germoglio meraviglioso stai innaffiando con le tue lacrime lo farei… ma non posso. Non posso perché le tue lacrime sono necessarie. Ora soffri e soffrirai ancora per qualche tempo. È davvero un peccato che non possa anticiparti nulla. E pensare che ho una buona notizia da darti: mascherata come un mostro, la tua benedizione ti attende proprio dietro l’angolo! La perdita, quel soffio di vento che spazza via tutto e ti lascia in mutande, quella che maledirai e contro cui ti ribellerai usando tutta la rabbia di cui sei capace, proprio lei sarà la tua salvezza.
Adesso smettila di rimettere insieme quei cocci, alza quello straccio di corpo e vattene a casa. Cucinati un piatto di pasta e fatti una dormita. Dico, ma ti sei accorto che è primavera?Se mi sentissi davvero ti incazzeresti a morte e mi accuseresti di sminuire i tuoi “enormi problemi”. Forse è davvero una fortuna che tu non possa sentirmi… e vabbè, scusami se rido mentre ti guardo, ma me lo sono meritato.
Leggi: Zero, in cammino per una nuova pagina.
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