Bali Capitolo 6: Gili Islands, Gili Air.

Written by passengerzero

26 Luglio 2017

Vengo svegliato dal canto proveniente dagli altoparlanti della moschea. Sono circa le sei del mattino e il sole è appena sorto. Avrei certo preferito dormire di più dopo l’odissea a cui siamo andati incontro per arrivare fin qui. Provo a riprendere sonno, ma i canti dell’imam sono sparati a un volume che non me lo permette.
Alla fine anche Marika si sveglia e decidiamo di andare a fare colazione e di occuparci della nostra sistemazione. La proprietaria dell’appartamento che avevamo prenotato si è fatta perdonare trovandoci un letto per la prima notte, ma ci servirà un altro posto per i giorni a venire.
Appena ci siamo ricaricati con il famoso Lombok Coffee, iniziamo a camminare nelle strette vie del villaggio. C’è un’enorme quantità di bungalow e camere in affitto ovunque si guardi. Svoltando in un vicolo, ci troviamo davanti ad un grazioso cortiletto dove scorgiamo quattro esotici bungalow di bambù. Una signora bionda, palesemente occidentale, sta innaffiando l’erba intorno a un vicolo di sassi. La salutiamo e chiediamo se si può avere una camera. La donna ci accoglie con un grande sorriso e ci fa cenno di entrare. Mentre sfoglia il registro con le prenotazioni, chiacchieriamo del più e del meno. Gertie è olandese e vive sull’isoletta da ormai parecchi anni. È venuta qui quasi per caso e si è innamorata di questo posto. Con l’aiuto della gente del luogo ha costruito questi bungalow e ora gestisce il Tua Tua Keladi. Ci mostra l’interno di una delle capanne. Vogliamo assolutamente trasferirci qui! Tutto, dalle pareti ai mobili, è costruito con canne di bambù intrecciate. Dal soffitto di foglie penzola un ventilatore. Credo che non troveremmo nulla di tanto esotico nemmeno se setacciassimo tutta l’isola.

Portiamo i nostri bagagli al Tua Tua Keladi dove, per circa dieci euro al giorno, avremo una graziosa sistemazione e la prima colazione servita nel portichetto della capanna ogni mattina. 
Finalmente sembra che le cose inizino a girare per il verso giusto. 
Ci infiliamo i costumi da bagno, ci ricopriamo di creme solari, prepariamo l’attrezzatura da snorkeling e ci dirigiamo verso la spiaggia.
Gili Air è un’isola di pochi chilometri quadrati. Quasi tutte le abitazioni sono concentrate nell’area davanti al porticciolo. La popolazione locale si aggira intorno ai duemila abitanti, ma negli ultimi anni il turismo ha portato alla costruzione di molte strutture  tra resort, alberghi e ristoranti.
Nonostante le viuzze brulichino di turisti, l’atmosfera è di una totale tranquillità. Sarà per l’assenza dei mezzi motorizzati, ma, dopo dieci giorni di traffico e caos, finalmente le nostre orecchie possono riposare.
Camminiamo sulla stradina di sabbia che costeggia le spiagge facendo attenzione, di tanto in tanto, a lasciare il passaggio ai numerosi tuk tuk trainati da piccoli cavalli.  Appena vediamo il mare, ci assale immediatamente la voglia di tuffarci. La sabbia bianca scompare in un’acqua cristallina che lascia intravedere il fondale. Le barche ormeggiate sembrano quasi galleggiare nell’aria mentre le ombre vengono proiettate sul fondo sabbioso.  Cerchiamo di trattenerci continuando a camminare fino alla parte orientale dell’isola. Ci hanno detto che da quella parte è più facile imbattersi nelle tartarughe di mare. Uno dei motivi che ci ha portato a scegliere proprio Gili Air come meta marittima è stato proprio questo. I fondali dell’isola sono caratterizzati da formazioni coralline che ospitano una moltitudine di pesci e che sono spesso visitate dalle tartarughe.
Lungo tutto il litorale si trova una serie continua di bar e ristoranti che si affacciano sul mare.
In pochi minuti arriviamo alla spiaggia che ci avevano indicato. Il sole è molto forte e una seconda passata di crema è d’obbligo.
Indosso la maschera, il boccaglio e mi lancio nel mare. L’acqua ha una temperatura perfetta e la visibilità lo è altrettanto. Riesco a vedere molto lontano. Inizio a prendere il largo osservando lo spettacolo sotto di me. Moltissimi pesci variopinti gironzolano ovunque e si fermano a curiosare tra i coralli e gli anfratti. Mi imbatto in quello che sembrerebbe un vecchio condotto dismesso. Un lungo tubo posato sul fondo è rotto in più parti. Dalle crepe escono ed entrano moltissimi pesciolini. Mi spingo sempre più al largo fino a quando non vengo inghiottito da un blu profondissimo. La barriera corallina finisce di colpo e uno strapiombo verticale fa cadere lo sguardo verso l’abisso. La vista non arriva a vederne la fine.
Sono rapito da questo momento di contemplazione, ma vengo riportato alla realtà da un rumore violento che passa qualche metro dietro di me. Una barca è sfrecciata sopra la mia testa!
Alzo lo sguardo e capisco subito che la stessa anarchia che regna per le strade la fa da padrone anche in acqua. Qui, le barche arrivano veloci e schizzano tra i bagnati anche a pochi metri dalla riva. Non esiste una distanza di sicurezza e nessuno sembra farsi dei problemi. È meglio dare sempre un’occhiata a dove si sta nuotando e segnalare in qualche modo la propria presenza.

Passo quasi tutto il pomeriggio in mare e, solo quando esco, capisco che ne pagherò il prezzo… La mia schiena è bordeaux e posso già sentire le fiamme di una bella scottatura. 
Rimaniamo fino al tardo pomeriggio seduti nella terrazza di un locale sul lungomare a sorseggiare succo di papaya e a goderci il tramonto… Sembra che le cose si stiano decisamente mettendo per il meglio. Tornati al bungalow, non resta che preparaci per la cena. Ci sono una moltitudine di ristornati e soluzioni più “street food”. Passiamo davanti a locali eleganti e dai prezzi comunque più che abbordabili. Tuttavia, la mia ricerca di un posto tipico si ferma davanti all’ingresso di un baracchino con pochi tavoli e un’aria poco raccomandabile. Entriamo e cerchiamo un posto a sedere. Sulla destra la cucina è “a vista”. E che vista!
In uno sgabuzzino con le pareti annerite, dentro discutibili padelle consumate ribollono pietanze che non riesco a distinguere. 

– Perfetto! – Esclamo io.
– Io mangio più tardi! – Esclama Marika.
Prendiamo posto al tavolo con altre persone. Tra loro c’è un ragazzo italiano che lavora qui come istruttore di sub. Chiedo informazioni su questo posto. È come pensavo. A dispetto delle sue apparenze, questo baldacchino è quanto di più tipico si possa trovare sull’isola. Tralasciando le norme igieniche, i piatti sono deliziosi. Tanto che questo è uno dei ristoranti prescelti da chi su Gili Air ci vive.
Per bere ci si serve da soli dal frigorifero. Se si vuole della birra, però, bisogna procurarsela in uno dei vicini negozi. Il proprietario è un musulmano osservante e si rifiuta di venderla, sebbene non proibisca che venga consumata nel suo locale.
Mi faccio consigliare dal ragazzo italiano un piatto tipico. Mi viene portato del riso con pollo e condimenti vari. Non so distinguere gli ingredienti, ma dev’esserci del succo di lime e del latte di cocco. Il gusto è fresco ed esotico. La mia cena mi costa poco più di due euro!
Facciamo un giro lungo le viuzze dove ci sono una moltitudine di gelaterie, bar e piccoli locali. Quando siamo abbastanza stanchi, torniamo alla nostra casetta di bambù e ci buttiamo a letto.
Il giorno seguente è sempre l’imam a svegliarci con i sui canti coranici. A quanto pare, l’impianto di amplificazione della moschea non lascia scampo alle litanie in nessun angolo dell’isola.
Ci sediamo nel portichetto del bungalow dove Gertie ci raggiunge con la colazione.
Sebbene preferiremmo alzarci ad orari più vacanzieri, la nostra sveglia ci dà modo di goderci il fresco della mattina. Decidiamo di noleggiare due biciclette per fare un giro dell’isola. A bordo di due bici da passeggio, partiamo dal villaggio in direzione del porticciolo. Una volta raggiunto il lungomare, ci facciamo largo tra i turisti sulla “strada” di sabbia che costeggia la spiaggia. Ci muoviamo in direzione nord-est passando accanto a Turtle Beach e lasciandoci alle spalle tutti i locali che abbiamo visto in precedenza. Arrivati sulla costa nord, la strada scompare. Il tragitto diventa una striscia di sabbia poco battuta dove le ruote delle nostre bici affondano ogni due metri. Diventa quasi impossibile pedalare, tanto che dobbiamo scendere dalla sella e portare le bici a mano. Ci fermiamo in un bar davanti al mare. Io faccio un tuffo con l’intento di fare snorkeling, ma qui ci sono troppe alghe e l’acqua è così bassa che mi sembra di nuotare in un’immensa insalata.
Ci rimettiamo in sella e, con fatica, raggiungiamo la costa occidentale. Qui, i negozi e i ristoranti sono più rari. Questa parte dell’isola è certamente più tranquilla, ma il mare, in questo punto, sembra una grande laguna di acqua molto bassa e poco invitante.
Arriviamo al porticciolo piuttosto stremati dalla nostra pedalata nella sabbia. Restituiamo le bici e torniamo alla spiaggia dove siamo stati il giorno precedente.
Un po’ stanco e svogliato, mi metto la maschera e mi tuffo in mare. Oggi c’è una corrente forte che scorre nello stretto tra Gili Air e l’antistante isola di Lombok. Se resto fermo a galleggiare, sento che la marea mi trascina energicamente verso sud. Guardando verso Lombok, vedo dei nuvoloni neri che coprono la punta del grande vulcano Gunung Rinjani. Le onde non sembrano proprio calme. Probabilmente c’è un temporale in arrivo.
Decido che starò in acqua solo un altro po’ per rinfrescarmi dalla lunga marcia.
Sento Marika che mi chiama a gran voce. Stava nuotando non distante da me e mi dice di aver visto una piccola tartaruga nuotarle vicino. Proviamo a cercarla, ma nulla da fare. Mi metto a nuotare controcorrente e in poco tempo sono già piuttosto distante. Marika torna a riva mentre io scelgo di restare in acqua un altro po’. Mentre mi sposto verso nord osservando il fondale, sento qualcuno gridare. Metto la testa fuori dall’acqua e vedo una signora che si sbraccia per segnalare qualcosa. La raggiungo. La donna stava chiamando i suoi figli e suo marito. Sembra che vicino al fondale ci sia una tartaruga. Accendo la telecamera e mi lancio sott’acqua. 

Ci metto un po’ a distinguerne la figura che si mimetizza tra i colori della barriera, ma alla fine la vedo! Una grossa tartaruga sta appoggiata sul fondale, intenta a strappare un’alga. Mi immergo parecchie volte per riprenderla da vicino. Arrivo a pochi centimetri dal suo carapace. L’animale non sembra nemmeno troppo disturbato dalla mia presenza e continua nella sua opera di raccolta. Sono emozionato come un bambino. Devo lottare contro la corrente che vorrebbe trascinarmi via. Dopo qualche minuto la tartaruga si alza e si mette a nuotare in direzione del largo. La seguo mentre, pacata, si allontana. Arriviamo al limite della barriera corallina e, quando siamo ormai in mare aperto, l’animale scompare inghiottito dal blu. Riemergo e torno a riva entusiasta come un ragazzino. Racconto a tutti del mio incontro senza considerare che da queste parti non c’è nulla di strano!
Quello stesso pomeriggio, mentre oziamo beatamente in spiaggia, sentiamo due ragazzi parlare italiano proprio di fianco a noi. Da buoni latini, attacchiamo bottone. Dario e Manuela sono piemontesi e sono qui in viaggio di nozze. Ci sentiamo onorati quando riceviamo il loro invito a cena per la sera stessa. Tornati al bungalow, ci laviamo e indossiamo gli abiti più decenti che propongono i nostri zaini. Usciamo a piedi e raggiungiamo un grazioso ristorantino sulla spiaggia. Manuela e Dario hanno fatto riservare un tavolo proprio sulla sabbia, in riva al mare. Ci sediamo e ordiniamo.
Mentre gusto del pesce fresco, mi faccio raccontare del loro viaggio di nozze. Lo hanno organizzato da soli e prima di approdare su Gili Air hanno visitato alcuni paesi dell’Asia. Marika ed io parliamo della nostra prima avventura in Australia, della nostra vita in Nuova Zelanda e del nostro viaggio rocambolesco fino a qui. Ci guardiamo imbarazzati quando i due sposini ci chiedono quando abbiamo intenzione di ritornare in patria… Ci siamo talmente concentrati sul nostro viaggio e sui suoi imprevisti che, per diversi giorni, non ci siamo nemmeno posti il problema. Dove sono finiti quei due ragazzi perennemente preoccupati del futuro? Forse sono in vacanza anche loro!
Non possiamo che finire sull’argomento “Italia”. Dai racconti dei due, sembra che in patria non sia cambiato molto. Quel che è certo è che, dopo un anno e mezzo di lontananza, parlare di casa mi fa sentire un po’ strano. Molte cose non mi sono mancate per nulla, ma altre certamente sì. Finisco a parlare con Dario delle camminate in montagna. Non posso nascondere che queste sono tra le cose che mi mancano di più. Quasi mi commuovo nel nominare le Dolomiti. Sebbene la mia casa si trovi in pianura, la cosa che mi manca di più del paesaggio italiano sono le sue montagne.
– Certo che noi uomini siamo strani! Siamo qui, con i piedi in un mare bellissimo, e rimpiangiamo le montagne! Vogliamo sempre quello che non abbiamo sotto al naso! – Ridacchio io.
Continuiamo la serata con gli sposini tra un drink e quattro passi sul lungomare fino a quando non arriva la stanchezza a riaccompagnarci al nostro bungalow. Dario e Manuela sono stati un gran bell’incontro. Poter ridere, scherzare e parlare in italiano e dell’Italia con due persone di spirito come loro è stato un po’ come tornare a casa e ritrovare quelle cose che mancano, alle quali apparteniamo nonostante tutte le distanze.
Anche questa notte ci addormentiamo nella nostra casetta di bambù. Alla fine ci resteremo una settimana. L’imam anticiperà i canti alle cinque del mattino e mi farà svegliare con i primi raggi del sole. Per sfruttare in qualche modo il tempo sottratto al sonno, mi metterò a correggere la bozza del libro che ho scritto in Nuova Zelanda. Dopo sette giorni me ne andrò da quest’isoletta sperduta con una tintarella da pellerossa, le tasche piene di sabbia e il mio primo libro impaginato.
Ciao Gili Air!



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