Vivendo a ritmo della luce naturale, senza poter contrare troppo su quelle artificiali, il ciclo delle giornate si ridimensiona attorno al sorgere e calare del sole. In questo modo, si tende naturalmente a coricarsi presto la sera e ad alzarsi presto la mattina.
Il nuovo giorno ci trova svegli di buon’ora, il che ci dà un buon vantaggio anche sulle sandflies che aspettano sempre il caldo prima di farsi vive. Apriamo le portiere per respirare un po’ d’aria che non sia impregnata di citronella.
Sistemiamo il letto e, dopo una colazione veloce, ripartiamo a bordo della Whale. La nostra prima tappa della giornata è il Mount Robert, dal quale si gode di una magnifica vista sul lago Rotoiti.
Saliamo con l’auto lungo una stradina sterrata che, un tornante dopo l’altro, ci porta al parcheggio da cui partono tutte le camminate.
Sono all’incirca le nove del mattino quando arriviamo e, nonostante siamo saliti di quota, veniamo sorpresi dal caldo a cui si accompagnano gli immancabili sciami di insetti.
Prepariamo gli zaini per la camminata e richiudiamo la Whale. Camminiamo qualche decina di metri quando, improvvisamente, Marika caccia un urlo. Mi volto e la vedo scuotersi tenendosi un braccio. Oggi il benvenuto degli insetti sembra essere stato ancora più caloroso. Qualcosa, forse un’ape, ha punto Marika sul pollice della mano destra. In pochi secondi il dito si gonfia fino a raddoppiare di volume. Non dev’essere un’esperienza molto piacevole!
Recupero un po’ d’acqua fresca dalla borsa frigorifera della Whale, ma ci vorrà un bel po’ prima che Marika possa riprendere la marcia.
Non è certamente un buon inizio. Tuttavia, stare fermi in mezzo agli sciami non renderà certo migliore la nostra giornata. Appena Marika se la sente, riprendiamo a camminare nella speranza che gli insetti non amino le alte quote.
Il sentiero per la cima della montagna inizia subito piuttosto ripido salendo a zig-zag per un prato. La temperatura non è altissima, ma il sole picchia molto forte. Ogni tanto, qualche albero offre una zona d’ombra di cui entrambi approfittiamo per ripararci e riprendere fiato.
Man mano che si sale, la vista diventa più ampia lasciando lo sguardo libero di spaziare dal lago alla pianura delimitata da alte catene montuose. La totale assenza di nuvole rende il paesaggio limpido, ma, allo stesso tempo, i raggi solari sembrano mordere i lembi di pelle scoperti dai vestiti.
Dopo circa due ore arriviamo ad un altopiano dove l’erba cede il passo alle rocce e ai sassi. Qui, la pendenza diminuisce e tira aria fresca. Gli scorci da immortalare sono moltissimi. Ci fermiamo a scattare qualche foto. Il lago blu sotto di noi è ora ben visibile per tutta la sua estensione. Riusciamo anche a vedere la continuazione dell’insenatura che ci aveva stupito il giorno precedente. Si tratta di una vallata molto profonda che termina dove inizia il Travers River.
Proseguiamo tramite il sentiero scosceso tra le rocce e arriviamo a una grande vallata di terra e pietra che forma una specie di cratere circondato da alti picchi. La vista è meravigliosa e, finalmente, dopo molto tempo, mi ritrovo tra le montagne. Anche gli insetti non ci hanno seguito. Sembra proprio che questo sia il posto ideale per il nostro pranzo. Ci sediamo nell’immensità dello scenario e ci gustiamo il nostro spuntino. Proprio sul fondo di questa grande vallata c’è un gruppo di costruzioni che sembrano appartenere ad una vecchia fattoria abbandonata. Mi piacerebbe scendere a visitarle oppure continuare a camminare per altre quattro ore fino all’Angelus Hut e magari accamparci lì per la notte, ma non ci siamo preparati e la nostra tabella di marcia prevede altro.
Dopo esserci rifocillati, riprendiamo a camminare sul sentiero che ci porta giù per un altro versante del Mt. Robert. Ora, la via è completamente in discesa e possiamo rilassarci godendo del panorama sul lago.
Su di una roccia scorgo una figura in movimento. Sulle prime non capisco di che si tratta, così mi avvicino lentamente reggendo la mia videocamera. Quando sono abbastanza vicino capisco che è un falco. Faccio qualche scatto e poi lo filmo mentre si libra in volo.
Durante il tragitto per il parcheggio ci imbattiamo in due piccoli rifugi. Entriamo per dare un’occhiata: si tratta di cassette di legno con delle stufe a legna, dei tavoli e alcuni posti letto. Il governo le mette a disposizione dei viaggiatori e il conto lo si paga via internet oppure tramite la honesty box all’interno. Sostanzialmente si infila il denaro in una cassetta ermetica insieme ad un documento con i dati del pagatore e la targa dell’auto. Questa è una forma molto usata nelle sistemazioni governative in tutto il paese. Anche se sembrerebbe che questi neozelandesi siano sprovveduti contro le furberie, mi è stato spiegato che i controlli sono quasi quotidiani e che le multe per chi viene sorpreso a barare sono molto salate.
Intanto la nostra discesa continua e, dopo cinque ore e mezza dalla partenza, arriviamo alla macchina.
Siamo piuttosto provati, ma la nostra giornata non è finita. Decidiamo d’iniziare a spostarci verso l’Abel Tasman National Park, che è una delle destinazioni sottolineate sulla nostra lista.
Prendiamo posto nella Whale e, dopo diversi chilometri di sterrato, rieccoci sulla strada verso un’altra voce sulla lista!
Arriviamo nel tardo pomeriggio in una cittadina chiamata Motueka e ci sistemiamo nell’ostello locale. Abbiamo bisogno di una doccia calda, di trovare un gommista e di raccogliere qualche dritta sulla nostra escursione ad Abel Tasman. Il parco verso cui siamo diretti è una sconfinata riserva naturale che si estende per parecchi chilometri lungo la costa. La nostra camminata durerà giorni e dobbiamo organizzarci per viveri e attrezzatura. Motueka è ben servita a livello di supermercati, è un posto tranquillo e sembra proprio l’ideale per un giorno da dedicare alla pianificazione.
L’ostello è ordinato e piuttosto pulito. Dopo tre giorni di vagabondaggio, una doccia calda sembra un sogno. All’esterno c’è anche una vasca idromassaggio di cui approfitto prontamente.
Sono contento che ci siamo fermati qui anche se dormire in una camerata non regala la sensazione di addormentarsi nella natura con il cielo stellato sopra la testa.
La nostra giornata a Motueka inizia con calma. Approfittiamo della lavanderia dell’ostello per pulire i nostri panni e li stendiamo al sole di una calda mattinata.
La manager ci accorda il permesso di lasciare lì la nostra roba a patto di liberare i letti. Mettiamo le nostre cose nella Whale e usciamo a piedi. La gomma liscia mi preoccupa sempre di più. L’ingresso dell’Abel Tasman National Park è piuttosto isolato e non voglio nemmeno pensare di restare a piedi proprio laggiù.
Marika ed io ci incamminiamo verso il centro della cittadina dove ci sono diversi supermercati e attività commerciali. I ragazzi che alloggiavano all’ostello ci hanno dato diverse dritte su come gestire la nostra escursione nel grande parco nazionale. Abbiamo stilato così una lista della spesa.
Entriamo al Warehouse dove e andiamo dritti al reparto camping. Per soli trenta dollari ci aggiudichiamo una tenda canadese grande a sufficienza per entrambi. Compriamo anche dei sacchi a pelo (questi ci serviranno anche per la Whale) e dei materassini in gomma di quelli usati nelle palestre o nei centri yoga. Il nostro spartano corredo da campo ci costa meno di cinquanta dollari a testa!
La seconda visita la facciamo al vicino Countdown. Qui ci riempiamo il carrello di frutta e cibo in scatola.
Provo a informarmi da un meccanico sul prezzo per cambiare il mio pneumatico. Trecento dollari per una gomma sono troppi per il mio budget di viaggio. Torniamo alla Whale, ritiriamo il bucato e ci mettiamo in marcia verso Marahau, l’ultimo villaggio prima del parco nazionale.
Seguendo le indicazioni della mia inseparabile app Campermate, finiamo in un posto bellissimo. Appena fuori da Marahau, vicino alla costa, proprio dove la strada finisce, si trova un cartello: Old MacDonalds Farm. Non è solo il nome a risuonare come un film western. Si tratta di una vera e propria fattoria immersa nel verde e circondata da ruscelli. Qui, ci sono diverse costruzioni di legno adibite ad ospitare i viaggiatori. In alcuni recinti pascolano pecore, mucche e persino alcuni lama.
Su di un ampio terreno sono dislocati i bungalow, i servizi, le cucine e i gazebo con tavoli e sedie. All’ingresso otteniamo tutte le informazioni sulla nostra prossima escursione. Decidiamo di fermarci lì per la notte optando per una semplice piazzola. Veniamo diretti in un grande campo verde circondato dagli alberi. Ci sistemiamo in una zona d’ombra. Mentre prepariamo l’occorrente per l’escursione che ci aspetta, una famiglia di anatre ci fa visita per curiosare tra le provviste.
Cerchiamo di comprimere negli zaini tutto ciò che possiamo. La nostra camminata durerà tre giorni e due notti. L’Abel Tasman National Park si estende per 22.530 ettari lungo il litorale della costa nordoccidentale dell’Isola del Sud. La camminata per attraversarlo fa parte delle Great Walks, gli itinerari pedonali più belli della Nuova Zelanda. Per attraversare tutto il parco ci vorrebbero cinque giorni. Noi decidiamo di arrivare fino a Bark Bay che si trova circa a metà del percorso. Mi frulla in testa l’idea di affrontare l’andata a piedi e di tornare con il kayak, ma non conosco le distanze e non so se questo sia fattibile. La Old Macdonalds Farm ha un punto di noleggio di kayak, così mi dirigo verso la costruzione. Due giovanotti, che sembrano usciti da una punk band degli anni ’90, mi accolgono in una piccola capanna di legno. Spiego che mi piacerebbe noleggiare un kayak per tornare da Bark Bay. Chiedo se è possibile fare una cosa del genere e, dopo essersi guardati con le loro facce da sconvolti, i due si voltano verso di me.
– Sure thing! – Esclama uno di loro.
Iniziano a parlarmi di prezzo e di orari che devo rispettare per il corso. Prima di poter avere il mio kajak, dovrò, infatti, frequentare un minicorso di un’ora e mezza sulla sicurezza a bordo. I due punkers la fanno facile, eppure qualcosa mi dice che questi due mi manderanno a morire.
Chiedo una cartina e prendo un po’ di tempo. Facendo due conti, con righello e calcolatrice alla mano, scopro che la mia rotta dovrebbe estendersi per circa venti chilometri. Dovrei, inoltre, remare lontano dalla costa per evitare le scogliere. Il tutto richiederebbe otto ore in mare aperto sotto il sole a picco. Credo che i due ragazzotti non abbiano considerato un bel po’ di elementi… Lascio perdere e mi confronto con Marika per trovare una soluzione. Non possiamo portarci molti viveri. Abbiamo già la tenda, i materassini e i sacchi a pelo. Decidiamo di partire a piedi da Marahau e, se il cibo e le energie basteranno, torneremo a piedi fino all’auto. Se le cose non dovessero andare per il verso giusto potremo usufruire di uno dei numerosi water taxi, motoscafi che si fermano sulle spiagge principali e offrono servizio di trasporto passeggeri.
Il piano è fatto e gli zaini sono pronti. Prepariamo una cena a base di pasta. Il cibo cotto ci mancherà sicuramente. Nell’Abel Tasman National Park, infatti, il fuoco è totalmente vietato. La cosa che certamente mancherà di più sarà, tuttavia, la doccia. Passo quasi venti minuti a godermi lo scrosciare dell’acqua sulla pelle.
Una volta asciutti e sazi, torniamo alla nostra Whale parcheggiata nel grande campo semivuoto.
Ci mettiamo a letto, di nuovo sotto il cielo stellato. Ci addormentiamo cullati dai rumori della sera. Domani toglieremo dalla nostra lista una delle voci più importanti. Nonostante sia mia ferma convinzione che l’aspettativa uccida la sorpresa, quest’isola mi ha già abituato alla meraviglia di vedere la mia immaginazione superata dalla realtà.
Riuscirà anche questo famoso Abel Tasman National Park a lasciarci senza fiato?
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