Bali Capitolo 2: The Monkey Forest

Written by passengerzero

19 Giugno 2017

Vengo svegliato dal suono degli xilofoni di bambù che riecheggia a poca distanza dalla nostra camera. Il sole è sorto da poco, ma la gente del luogo è già impegnata nelle danze celebrative che hanno luogo in diversi momenti del giorno e che costituiscono una buona parte della vita spirituale della comunità.
La temperatura è già piuttosto alta, ma è ancora sopportabile. Dobbiamo muoverci sfruttando il fresco della mattina se vogliamo evitare la tremenda calura che si alza nel pomeriggio.
Sveglio Marika, prepariamo l’occorrente per la giornata e raggiungiamo la terrazza dell’albergo per la colazione.
Veniamo accolti da volti sorridenti che ci salutano incrociando i palmi delle mani all’altezza del petto e facendo un piccolo inchino. Non fatico a fare mio questo tipo di saluto che esprime un grande rispetto per l’interiorità del prossimo.
Ci sediamo al tavolo e sfogliamo il menu. Nei campi circostanti alcuni contadini sono già all’opera con i loro falcetti e i loro tipici cappelli conici fatti di paglia intrecciata. Da bravi viaggiatori sacrifichiamo la nostra voglia di pancake per sperimentare le specialità del luogo. Ordiniamo una cosa chiamata bubur sumsum e un’altra chiamata bubur injin. Quelle che ci vengono servite sono due pappe di riso morbide  e molto dolci, della consistenza di un budino. Finiamo la nostra colazione e saliamo sul minubus dell’hotel che ci porta a Ubud. Nonostante non ci troviamo in un grosso centro e nonostante sia ancora mattino presto, le strade sono già intasate da un traffico scomposto. Motorini e automobili avanzano lentamente in lunghe colonne da cui qualche scooter cerca di liberarsi gettandosi sui marciapiedi o sulla corsia opposta.
Il nostro guidatore ci lascia proprio all’imbocco della Monkey Forest Road. Noi non possiamo che esserne contenti. La Monkey Forest è proprio l’attrazione che più di ogni altra ci ha attirati a Ubud.
Bastano cinque minuti da pedoni per capire perché ci avessero avvertiti di fare attenzione a dove si mettono i piedi qui a Bali. I marciapiedi sono malridotti e spesso presentano buchi e interruzioni. Ci si può imbattere in tombini aperti o in vere e proprie voragini nel manto stradale. Dentro ad una di queste spaccature, riesco persino a vedere un condotto carico di acqua corrente e non posso fare a meno di chiedermi dove si va a finire se ci si cade dentro.
Il viavai del traffico rende molto difficile camminare sulla strada e ci si può mettere molto tempo ad attraversare un incrocio. In parole povere, le strade sono un gran casino, ma ancora non c’è alcuna traccia di aggressività o di maleducazione dovunque si guardi.
Ad un tratto, uno spiazzo alla nostra sinistra mostra l’ingresso alla Monkey Forest. Mi sorprende che una foresta tanto rigogliosa sorga nel centro di questa cittadina.
Ritiriamo il nostro biglietto e ci incamminiamo su di un viale di ciottoli che entra nel verde. Diversi cartelli suggeriscono di non portare borse di plastica e scoraggiano dal mostrare bottiglie d’acqua.
Pochi passi più avanti, vediamo una scimmia tentare lo scippo ai danni di una turista. L’animale si è aggrappato alla busta di plastica che la signora stava trasportando e, tirando fino a romperla, ne ha fatto cadere il contenuto a terra.
Per Marika e me si tratta del primo incontro con delle scimmie libere nel loro habitat naturale. Quelli che abitano la Monkey Forest sono esemplari di macaco dal pelo grigio e dalle dimensioni che non superano il metro di altezza.
Questi animali sembrano tranquilli e completamente a loro agio mentre si muovono tra i moltissimi turisti presenti. Ci sono, tuttavia, delle regole da rispettare nell’approcciarvisi. Non bisogna dimenticare che i macachi sono territoriali e che hanno denti aguzzi che possono utilizzare in caso di minaccia. Lo scopriamo poco più avanti quando tentiamo di bere un po’ d’acqua da una fontanella presidiata da una scimmietta minuscola. Il simpatico cucciolo non ne vuole sapere di lasciarci avvicinare al rubinetto e ci mostra i denti ogni volta che ci proviamo.
– Chissà che problemi hanno questi con l’acqua! –  Penso.
Qualche passo più in là iniziamo a vedere i templi. Di nuovo mi stupisco della maestria con cui sono stati realizzati e della loro magnificenza. Le costruzioni rispecchiano lo stile hindu che domina l’isola e risalgono all’incirca all’anno 1350.
Le scimmie si muovono disinibite tra le sculture e gli altari. Non dev’essere niente male, per loro, una casa come questa.
Proseguendo lungo una scalinata, si raggiunge una vallata con un torrente che scende tra il fitto degli alberi. Costeggiandone il letto, si intravedono le scimmie arrampicarsi sulle liane e rinfrescarsi con l’acqua del fiumiciattolo che scorre tra le rocce.
Il camminamento finisce quando la vegetazione si fa troppo fitta per poter continuare. Tornando indietro si attraversa un bellissimo ponte di pietra che disegna un arco sul torrente. Risalendo la piccola vallata ci si ritrova nel cortile con il tempio più grande e la pagoda. Il caldo nel frattempo si è fatto torrido. 
Cerchiamo un po’ di riparo nel cortile sottostante dove troviamo un tavolino di pietra con due sedie. Appena ci siamo seduti, una piccola scimmietta si arrampica sul tavolo e, con un po’ di timidezza, si approccia a Marika osservandola e sfiorandole il polso con la mano. Siamo divertiti e increduli per questo incontro così amichevole. Ad un tratto, la scimmietta lascia da parte la timidezza e si arrampica sul braccio di Marika per poi sfruttare i suoi riccioli come liane per arrivare a posarsi sulla sua testa che usa come torre di vedetta. Marika ride a crepapelle, ma, come consigliato all’ingresso, cerca di non toccare l’animale per non spaventarlo. Alla fine la scimmia si cala di nuovo sul tavolino e viene da me. Gli tendo il dito indice e, inaspettatamente, lei lo stringe tra le sue piccolissime manine. Questa finirà di certo tra le strette di mano che ricorderò per tutta la vita. Il mio momento idilliaco con madre natura finisce quando il mio nuovo amico si impossessa dei miei occhiali da vista che avevo appoggiato sul tavolo e tenta di scappare su un albero. Lo seguo e mi riprendo con forza il maltolto. L’animale si volta e mi soffia contro mostrando i denti.
– Ti credevo un tipo simpatico… Va’ al diavolo! – Gli dico ridendo mentre si arrampica a tutta velocità.
Con ancora sulle labbra il sorriso divertito per l’episodio, Marika ed io andiamo a sederci sui gradini di un piccolo anfiteatro.
Osserviamo per un po’ diversi gruppi di scimmie durante le attività principali della loro giornata: mangiare, dormire e giocare tra loro. 
– Mica male! – Penso tra me e me.
Mi assento per un paio di minuti e lascio Marika all’anfiteatro. Quando torno dal bagno, la trovo in posa mentre si fa scattare fotografie con i membri di una numerosa famiglia asiatica. Eccoci di fronte ad un’altra originale usanza orientale: se sei un tipo esteticamente particolare e ritenuto di gradevole aspetto, non è strano che le persone si fermino a chiederti di scattare delle foto con loro. Non c’è malizia in questo gesto. Si tratta di una forma innocente di amore per la bellezza. Anche la moglie della famiglia vuole, infatti, la sua foto con la rossa occidentale.
Preferisco non chiedermi come mai nessuno si fermi a chiedere una foto con me ☹
Torniamo a sederci nell’anfiteatro e, dopo qualche minuto, un vecchio amico ci raggiunge. È la scimmietta che mi stava per rubare gli occhiali. Sembra tornata con intenti pacifici e si siede sulle ginocchia di Marika. 

Quando stiamo già per abbandonarci alla tenerezza, la scimmia ritenta la rapina. Si mette a tirare con forza la borsa di Marika facendo leva con le zampe posteriori sulla sua coscia. Marika resiste, così l’animaletto si siede sconfortato a terra e la fissa con aria desolata. Anche stavolta si deve ritirare senza bottino. Spendiamo ancora un po’ di tempo nella foresta, fino a quando il caldo del pomeriggio rende tutta la città un gigantesco bagno di calore. Sulla via dell’uscita notiamo diverse scimmie intente ad arrotolare un miscuglio di foglie e piccoli sassi sul terreno come se stessero impastando. Quello che ne esce è una specie di poltiglia. Il motivo di questa usanza non è chiaro. È possibile che si tratti della preparazione di un repellente naturale da usare contro insetti e parassiti.
Lasciamo la Monkey Forest e torniamo alla fermata del bus. Sebbene gli spostamenti della giornata non siano stati nemmeno paragonabili alle lunghe escursioni neozelandesi, arriviamo in hotel stanchi e completamente sudati.
Ci vorrà qualche giorno per abituarsi a questo clima. Nel frattempo che il mio corpo prende le sue misure, lo aiuto con un bagno in piscina e con del succo di papaya.
Sono arrivato da ventiquattro ore e questo posto mi ha già regalato incontri preziosi, la stretta di mano più strana che avessi mai ricevuto e occasioni per rimanere stupito come un bambino.
Intanto la sera cala, si alza il profumo degli incensi che accompagna la musica delle danze spirituali. Anche se conosco poco dell’induismo e di quest’isola, posso sentire lo spirito di questa terra farsi musica e riempire l’aria. Mi è impossibile non rimanere incuriosito e chiedermi cosa ci sia dietro questa cultura così vivace e variopinta. Mi scappa un sorriso al pensiero che questo viaggio è solo all’inizio.

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